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Oltre la rete

  • Lorenzo Zoni
  • 1 feb 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Non ho mai avuto una memoria eccelsa, eppure c’è un giorno di diversi anni fa che ricordo perfettamente. Avevo già passato qualche giornata al canile di Trebbo come volontario ma, quel giorno, il mio intento era un altro. Mi accolse Serena e, dopo le dovute presentazioni, iniziammo il giro del canile. Non avevo alcuna idea precisa circa quale fosse il cane per me, sapevo solo che ne avrei adottato uno adulto, vista la mia poca esperienza con i cani.


Così mi lasciai guidare e, in una decina di minuti, mi ritrovai nel box di quello che sarebbe diventato il mio primo cane. Niente scene strappalacrime, niente sguardi languidi che implorano di portarlo a casa, niente frasi precotte come “non sono io che ho scelto lui, ma è lui che ha scelto me”. Niente di tutto questo, che io fossi nel box o che non lo fossi, a Gipsy non importava. Questa è la prima delle tante lezioni di vita che il glaciale meticcio di pastore tedesco mi avrebbe insegnato negli anni a venire: tu non sei nessuno, nulla ti è dovuto.



Adottare un cane in canile è qualcosa che va ben oltre la buona azione per sentirsi in armonia con la propria coscienza. Comprendo che possa sembrare un approccio cinico, ma ritengo che rinunciare ad una buona fetta del proprio ego sia fondamentale affinché un’adozione vada a buon fine.


Abbandonare preconcetti e buttare via quell’ottica da supermarket che ci fa dire “voglio lui!” mentre giriamo tra i box. Si tratta piuttosto di lasciarsi guidare da qualcuno che ha più esperienza e può consigliarci quale potrebbe essere il cane più adatto al nostro stile di vita ed alla nostra personalità. Si tratta di non fermarsi alla prima difficoltà, sapendo che ci saranno giorni in cui il cane sarà il vostro migliore amico e giorni in cui, ad esempio, chiamerete Serena disperati perché: “aiuto, ha spennato una gallina, che devo fare?”, o almeno nel mio caso è stato così.


Il mio percorso preaffido in canile durò circa un mese e mezzo. 90 giorni necessari per conquistare anche solo una piccola porzione della fiducia di Gipsy, prima di compilare i moduli e portarlo a casa con me. Da quel giorno in poi lo chiamai Mosè, il conduttore per eccellenza, perché era chiaro chi fra noi due fosse il leader. Io non conoscevo la sua storia precedente, né lui conosceva la mia, ma a nessuno dei due importava. Sapevamo soltanto che era ora di varcare la soglia del canile e conoscere il mare, seguire tracce nei boschi e compiere i primi furti di pollame.


Adottare un cane in canile, soprattutto se adulto, è un contratto fra le parti costituito da un unico semplice punto: rispetta la mia individualità e il nostro legame sarà indissolubile.






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