E TU, CHE PROBLEMA HAI?
- Eleonora Marziale

- 22 apr 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Prima di iniziare a scrivere questo articolo, ci tengo a sottolineare come io sia solo una mediocre professionista che esprime un pensiero più che un parere, un ragionamento venuto fuori una sera qualunque durante un turno di notte in canile.
Non sono un medico veterinario esperto in comportamento e ho conseguito il titolo da istruttrice cinofila da nemmeno un anno, provo a fare questo lavoro da solo tre anni ed è molto probabile che io non capisca assolutamente nulla (magari solo un pochino, dai), ma proprio questo mi porta a fare domande, cercare di capire cosa c’è dietro alle mille interpretazioni che cerchiamo di dare ai cani, provare a immedesimarmi nel soggetto che ho davanti per capire chi è e cosa posso fare per lui, se mai poi ce ne fosse bisogno.
Avevo circa 22 anni quando decisi di adottare il mio primo cane. Studiavo a Teramo, alla facoltà di veterinaria, quindi è chiaro come tutti intorno a me avessero animali. Avevo amici con cani che credevano di capirci qualcosa, quando in realtà sapevamo forse dove avevano la coda (se avevamo dato l’esame di anatomia). Dei cani non conoscevo assolutamente nulla, ma decisi che volevo prenderne uno. Mi immaginavo già momenti idilliaci nei prati con chitarre, vino, amici e il mio cane felice e saltellante a giocare con tutti; vacanze in camper (magari avrei dovuto pensare prima a come procurarmi un camper), in tenda sulla spiaggia o sotto le stelle in montagna e il mio cane sempre lì, come in uno dei più bei film (di merda) che si vedono il sabato sera alle 21.00.

Così in un pomeriggio qualunque, di un giorno qualunque, di un mese qualunque, durante una pausa caffè dallo studio, la mia coinquilina (Marika sai bene quanto ti ho odiato nei mesi a seguire) vide un post di un cane su facebook. Mi innamorai subito di quel musino tenerino, una piccola cucciolina super carina, con gli occhini celestini perché aveva solo 40 giorni(ni). Si trovava a Sambuca di Sicilia, ma io avrei sfidato qualsiasi ostacolo per raggiungere quella dolce cagnolina con la quale coronare il mi sogno di amore, gioia e felicità.
Il 22 dicembre del 2017 arrivò Etna (anzi me la andai pure a prendere a Palermo, cuore di mamma).
Non ne sapevo niente di “cani del sud”, di staffette, di canili, di cani liberi, ferali o semiferali. Ma, a mio mal grado, lo scoprii presto (ovviamente si scherza… ora).
Mi ritrovai in casa la figlia di satana.
4 kg di cane che rompeva le palle da quando mettevo fuori il primo piede dal letto la mattina, al quale si aggrappava con foga fino a farsi trasportare tipo straccio per tutta casa, passando per le 12 ore in cui saltellava ininterrottamente ovunque infastidendo i gatti, rubando e distruggendo le mie cose (compreso il maledetto puzzle de “la notte stellata” di Van Gogh, quasi finito dopo circa un mese e mezzo), fino alla sera dove, se andava bene, crollava sfinita nella sua cuccia, soddisfatta del bottino che ci aveva sepolto durante il giorno.
Dopo i primi mesi in cui camminare in città era un problema perché “giocava” con il guinzaglio tirandolo e mordendolo, si bloccava in alcune strade perché “non ci voleva passare”, non faceva i suoi bisogni se non in tre punti in cui dovevo arrivare quasi correndole dietro (altrimenti mi bruciavo il momento e dovevo stare fuori almeno altri 30 minuti), iniziarono quelli che oggi voglio descrivere come i giorni peggiori della mia vita (sempre scherzando, ovviamente…).
Uscire in città era diventato un problema. Etna aveva iniziato a lanciarsi contro chiunque e a qualunque cosa mi gravitasse intorno. E io abitavo su una delle piazze principali della mia città. Non mi sono mai sentita tanto urlare dietro come in quel periodo, minacce di denunce nascevano spontanee da chi disgraziatamente ci incrociava.
Studiavo gli orari migliori per poter uscire perché Etna aveva “problemi con le persone” e dovevo incontrarne il meno possibile, mi nascondevo nei posti meno frequentati del Lazio per sganciarla perché Etna aveva “problemi con i cani” e poteva ucciderne uno da un momento all’altro.
Io che sarei stata una proprietaria perfetta, che avrei coinvolto il mio cane in tutta la mia vita, che le avrei concesso libertà ovunque e avrei cambiato le mie abitudini per lei, mi ritrovavo con un “cane difficile”, un cane con “problemi comportamentali”.

Ma cosa significa problema comportamentale? E di nuovo, non darò spiegazioni in merito, quello lo può fare qualcuno più capace di me, ma voglio riflettere sulla banalità con cui queste due parole vengono usate.
Troppo spesso sento persone interessate ad adozioni chiedermi che problemi ha uno specifico cane o affermare che in canile ci sono cani con problemi comportamentali. Mi capita di vedere colleghi, e di essere poi la prima a farlo senza rendermene conto, di riconoscere una difficoltà in un cane e non riuscire a vedere oltre, usare parole come “possessivo”, “competitivo”, “diffidente”, come se descrivessero in toto quel soggetto. Troppo spesso vengono diagnosticati problemi comportamentali ai cani che devono essere risolti, perché c’è qualcosa di sbagliato in ciò che fanno.
Come se i cani dovessero reagire tutti allo stesso modo agli stessi stimoli, far tutti le stesse cose, avere gli stessi atteggiamenti considerati giusti, che non diano problemi alle persone con cui vivono, che non facciano fare brutte figure al parchetto del quartiere.
Io adottai Etna 5 anni fa, e per un periodo fin troppo lungo fui convinta che avesse dei problemi comportamentali difficilissimi da superare. Gli educatori e gli istruttori che negli anni mi hanno seguita usavano parole complicate, parlavano di deprivazione materna, privazione sensoriale, diffidenza con le persone, problemi con i cani, aggressività, senza spiegarmi davvero cosa dicevano, senza declinare e inserire il tutto in un quadro preciso.
Il più delle volte quelli che definiamo problemi comportamentali non sono, secondo me, problemi dei cani. Io li definirei, problemi del mondo in cui i cani sono inseriti.
Se crediamo, e lo spero, nell’individualità intesa come differenza tra diversi soggetti, nella presenza di tratti genetici ereditari non modificabili, in termini di adattabilità ma anche di carattere, allora ci dobbiamo chiedere se i problemi comportamentali che vediamo non sono altro che modi sbagliati di guardare il cane.
Se prendiamo un cane nato e vissuto nelle campagne siciliane, pretendiamo di portarlo in centro città e ci aspettiamo che sia felice in mezzo a stimoli sconosciuti che vanno a velocità esagerate, in un affollamento generale che provoca stress e affanno anche a noi, allora non stiamo guardando la realtà.
Il proprietario sta guardando con frustrazione e rabbia un cane in piena difficoltà, nel quale ha riposto aspettative e speranze che non sono soddisfatte.
Un professionista sta guardando con un approccio scientifico un cane in piena difficoltà promettendo che risolverà quelli che non sono problemi comportamentali, ma che presto lo diventeranno se non inizierà a guardare quel cane come un individuo non targhettizabile.
Continuamente vengono descritti comportamenti nei cani ed etichettati come problemi comportamentali con i nomi più svariati, come il tirare al guinzaglio per un cane da caccia, abbaiare ad automobili e motorini per un pastore conduttore, non far entrare nessuno nell’appartamento di 50 mq per il guardiano degli armenti. La realtà dei fatti è che abbiamo scelto un cane in modo completamente casuale.

La vita che facciamo, il mondo in cui siamo immersi, gli stimoli che ci circondano, le informazioni che l’ambiente trasmette continuamente, rendono difficile a quel cane specifico di adattarsi serenamente ad un ambiante che non è pensato per un cane, ma in cui noi lo obblighiamo a stare. Così vengono fuori manifestazioni comportamentali esagerate, per andare a compensare in qualche modo quello stress eccessivo a cui si è sottoposti. Erigere un muro fatto di reazioni sbagliate a situazioni problematiche.
È qui che è fondamentale affidarsi ad un esperto per capire quale cane è più giusto avere in un determinato contesto, quale cane può andare bene per quella situazione, a quale cane noi e l’ambiente non creeremo nessun problema comportamentale.
Oggi Etna non ha nessun problema e in realtà non ne ha mai avuti, probabilmente li avevo io (e magari ce li ho ancora). Ho deciso di cambiare contesto di vita, perché la sua genetica e le esperienze fatte non le permettono di essere serena in città, e io non sono in grado di aiutarla a pieno in quel contesto. Ho deciso di provare a capire chi avevo davanti, apprezzarne tutte le sfumature e le piccolezze che non riuscivo a vedere prima, ma che la rendono unica, come il suo carattere di merda, ovviamente, ma alla fine anch’io sono una bella rompi palle!
Credo che l’essere umano non si meriti i cani, ma purtroppo sono stati così scemi da avvicinarsi a noi che ormai il danno è fatto. Ma possiamo cercare di capire, smettere di etichettare i cani con problemi ma vederne le possibilità, nel rispetto della loro genetica, dell’ambiente in cui sono vissuti, delle esperienze che hanno fatto, o più semplicemente del loro carattere unico da individui pensanti.



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